Roberto Speranza: chi è e cosa vuole fare il nuovo ministro della Salute

Ottenuta la fiducia da Camera e Senato, il governo Conte-bis è ora pienamente operativo. Al dicastero della Salute, Roberto Speranza, di Liberi e Uguali, ha preso il posto della pentastellata Giulia Grillo.

 

Chi è il nuovo ministro, e cosa cambierà rispetto alla gestione dei suoi predecessori?

Classe 1979, potentino, Roberto Speranza, dopo essere stato deputato e capogruppo alla Camera dei deputati del Partito Democratico nella scorsa legislatura, nel 2017 ha abbandonato il partito a seguito di divergenze con l’allora segretario Matteo Renzi. Ha fondato Articolo Uno – Movimento Democratico e Progressista, a cui hanno aderito diversi ex dem ed ex esponenti di SEL (Sinistra, Ecologia, Libertà). Alle elezioni politiche del 2018 è stato eletto tra le file di Liberi e Uguali (LEU).

Il neo ministro, in alcune interviste ai principali quotidiani nazionali, fra cui il Corriere della Sera e La Stampa, ha già svelato le sue priorità e i temi a lui cari. Le parole d’ordine? Centralità assoluta della sanità pubblica, lotta alle diseguaglianze e universalismo.

Il primo obiettivo è superare la carenza di personale sanitario, medici e infermieri, nella sanità pubblica: “La grande sfida è l’accesso di tutti a cure di qualità, in un tempo in cui la popolazione invecchia e le innovazioni tecnologie e farmaceutiche sono sempre più avanzate. Questo significa superare l’attuale carenza di medici e infermieri nel sistema sanitario pubblico. Nei prossimi 5 anni ci sarà un picco dei pensionamenti che aggraverà il problema”, ha detto Speranza al Corriere. Sul punto si è già espresso anche il premier Conte, parlando alla Camera in occasione del voto di fiducia: “Il Governo si impegnerà a difendere la sanità pubblica e universale, valorizzando il merito e predisponendo un piano di assunzioni straordinarie di medici e infermieri, potenziandone i percorsi formativi”.

Un secondo importante tema su cui il ministro si è già soffermato è l’abolizione del “superticket”, il pagamento fisso di dieci euro sulla ricetta per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, introdotto nel 2007 dal governo Prodi ma effettivamente reso operativo dal governo Berlusconi con la manovra finanziaria del 2011. Già, ma con quali risorse? Le possibili coperture erano state indicate in una proposta di legge presentata da Liberi e Uguali a inizio legislatura, primo firmatario proprio Roberto Speranza (proposta rilanciata già nel primo Consiglio dei Ministri): “si utilizzano non solo le risorse già stanziate a legislazione vigente dalla legge di bilancio per il 2018, pari a 60 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2018 nell’arco del triennio 2018, 2019 e 2020, ma anche le maggiori entrate rivenienti dall’abolizione della deduzione forfetaria dei canoni di locazione, che è pari al 35 per cento per le cosiddette dimore storiche e da cui si ricava un gettito accertato di 545 milioni di euro annui a regime a decorrere dall’anno 2018”. Sul Corriere della Sera, tuttavia, il ministro non si è sbilanciato. Alla domanda “con quali soldi pensa di abolire il superticket?”, la risposta è stata piuttosto evasiva: “la frenata della Germania è il segnale che l’Europa deve cambiare radicalmente la sua politica economica. L’autorevolezza di Conte e il ruolo di Gentiloni possono aprire il varco per nuova stagione, come indicato dal presidente Mattarella”.

A proposito di regionalismo differenziato, di cui tanto si parlava nel governo precedente, Speranza è stato piuttosto categorico: “Dobbiamo garantire il diritto alla salute, indipendentemente dalla Regione in cui si vive e dalle condizioni economiche. Difenderò con tutte le energie l’universalità del sistema sanitario”.

Il ministro ha voluto allontanare la scure della spending review: “Le risorse messe nella sanità sono un investimento sulla vita delle persone, non possono essere banalmente considerate spesa pubblica”. Obiettivo è la rideterminazione del finanziamento del Servizio sanitario nazionale, da portare a 118 miliardi per il 2020.

Ci sono poi molti provvedimenti, tra disegni di legge e tentativi di riforma di alcuni settori del Servizio sanitario nazionale, presentati in Parlamento e lì rimasti, che potranno essere ripresi o cadere definitivamente nel dimenticatoio.

Ne è un esempio il ddl contro le aggressioni al personale sanitario, provvedimento molto sentito da medici e operatori sanitari e su cui vi è una forte pressione dell’Ordine dei Medici e dei sindacati di categoria, fermo al Senato dopo l’approvazione della Commissione Igiene e Sanità. Da deputato, Speranza aveva depositato una proposta di legge alla Camera per dare lo status di pubblico ufficiale ai medici così da combattere le violenze ai loro danni.

Ancora: il progetto dell’ostetrica di comunità, l’istituzione dell’infermiere di famiglia, la riforma del numero programmato per l’ingresso alla Facoltà di Medicina e Chirurgia e quella del settore delle parafarmacie, proposte portate avanti dall’ex ministro Giulia Grillo che però ora potrebbero perdere importanza.

E per quanto riguarda eventuali divergenze con il partner di governo, il Movimento 5 Stelle? Per ora, in ministro ha espresso la volontà di dialogo. Ma sui vaccini, ad esempio, quale sarà la linea? Il M5S si è sempre detto contrario alla Legge Lorenzin, approvata dalla maggioranza di centrosinistra, che ha introdotto l’obbligo di vaccinazione per bambini e ragazzi.  Una nuova legge, che propone un “obbligo flessibile” è ferma da mesi a Palazzo Madama, fino a pochi mesi fa ostaggio delle divergenze all’interno della ex maggioranza giallo-verde. Aspettiamo i fatti e nel frattempo, auguriamo un buon lavoro al ministro.

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