Zombie deer disease, la malattia del cervo che spaventa gli uomini

Tutto è partito dal caso, risalente al 2022, di un uomo di 72 anni che negli Stati Uniti è morto dopo aver consumato la carne di un cervo proveniente da un branco di esemplari infetti. L’episodio, seguito da un secondo decesso, ha scatenato la curiosità di esperti, ma non meno di ricercatori e riviste scientifiche che hanno ampliato la letteratura sulla “Zombie deer disease”, la malattia del cervo zombie che negli Stati Uniti e in terra canadese sta decimando moltissimi esemplari e che, come dimostrato dal caso preso in esame, potrebbe colpire anche l’uomo. Come infatti riporta la rivista scientifica “Neurobiology”, tecnicamente plausibile sarebbe il passaggio dei prioni (agenti patogeni di natura proteica) dai cervidi all’essere umano.

Ulteriori casi della Zombie deer disease sono stati registrati in Scandinavia e in Corea del Nord. Nell’aprile 2016 è stata diagnosticata in Norvegia, e per la prima volta in Europa. Fino a quel momento questa patologia era ritenuta presente solo in Nord America, dove è nota dalla seconda metà del secolo scorso. La malattia è stata riscontrata in una renna appartenente a una specie nella quale la  Chronic Wasting disease non era mai stata osservata in precedenza, neppure nelle aree endemiche nordamericane.

Tuttavia, gli scienziati si interrogano sugli effettivi rischi per l’uomo. Il salto di specie ad oggi non è ancora avvenuto. Le proteine anomale danneggiano cellule cerebrali e provocano disfunzioni nei vari organi dell’esemplare contagiato che presenta perdita di peso, manifesta sete anomala e conseguente necessità di urinare con frequenza, mancanza di equilibrio e di coordinazione nei movimento, difficoltà nella deglutizione, produzione di bava. Alla malattia inoltre si associano anche criticità legate all’infiammazione dei polmoni. I sintomi possono manifestarsi dopo molti mesi, ma anche a distanza di anni: questo elemento rende realmente difficile la diagnosi iniziale e favorisce la diffusione della patologia tramite lo scambio di fluidi corporei o anche attraverso la contaminazione di acqua e cibo.

Alla luce di tutto questo, nonostante i due casi registrati in territorio nordamericano, non ci sono evidenze scientifiche rispetto a un eventuale contagio dall’animale all’uomo ma la situazione è monitorata dai ricercatori. Test a cui sono stati sottoposti, nel 2018, i macachi, specie relativamente vicina a quella umana, ha evidenziato che gli esemplari esposti al contagio di cervi e alci malati non sono stati colpiti dalla malattia. Uno studio sperimentale eseguito nel 2022 in Canada però, ha fornito risultati meno confortanti quando alla malattia sono stati esposti topi con apparato genetico modificato per valutare l’impatto di patologie sull’uomo.

Alessandro Notarnicola
Alessandro Notarnicola
Mi occupo di giornalismo e critica cinematografica. Dopo la laurea in Lettere e Filosofia nel 2013, nel 2016 ho conseguito la Laurea Magistrale in "Editoria e Scrittura". Da qualche anno mi sono concentrato sull'attività della Santa Sede e sui principali eventi che coinvolgono la Chiesa cattolica in Italia e nel mondo intero.

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