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Le mutue valgono il 20% del mercato. I soci sono 600.000

Chiara Merico su “La Verità”, 16/07/2017

Hanno più di 200 anni, ma rappresentano una speranza concreta per il futuro della sanità. Sono le società di mutuo soccorso, che si candidano a diventare un attore sempre più importante nel settore del welfare. Comparse per la prima volta nell’Inghilterra della Rivoluzione industriale, dove le «friendly societies» furono tra i primi frutti concreti dell’associazionismo operaio, in Italia le società di mutuo soccorso fecero il loro debutto sotto re Carlo Alberto di Savoia, che nel 1844 ne incoraggiò la nascita. La prima Società generale degli operai, ricorda il mensile Valori, vide la luce quattro anni dopo a Pinerolo, nel torinese: nel1862 le associazioni erano già 434, con 110.000 soci, e nel 1904 il loro numero superava le 6.500, con quasi 930.000 soci. La parabola discendente iniziò sotto il fascismo, con la nascita dell’Inps che indebolì notevolmente il ruolo delle mutue: con l’introduzione del Servizio sanitario nazionale, nel 1978, molte di queste associazioni i sciolsero. Ma adesso, con il settore pubblico che deve fare i conti con la scarsità di risorse e le sempre crescenti esigenze di una popolazione che invecchia, le società di mutuo soccorso possono tornare a rivestire un ruolo importante. Basti pensare alla cifra di 34,5 miliardi di euro, che è quanto gli italiani spendono per la propria salute, curandosi privatamente. La gran parte di questa spesa (87%) è «out of pocket», cioè effettuata di tasca propria, senza l’intermediazione di mutue o altre forme di sanità integrativa. Le mutue hanno quindi un ampio margine per potersi muovere, a patto però di sapersi compattare e fare rete. Secondo la ricerca realizzata dall’osservatorio sull’impresa sociale Isnet, il panorama è infatti molto frammentato: in Italia ci sono 1.114 società di mutuo soccorso (Soms), di cui quasi la metà – il 47,5% – è stata fondata prima del 1886. Solo 509 di queste sono però attive, e appena il 9% si dedica esclusivamente ad attività sociosanitarie. Molte di loro sono piccole: il 55% ha infatti meno di 200 soci e quelle con oltre 5.000 soci sono appena il 3,5%.

Tra le più grandi troviamo la Mutua Mba con 350.000 soci e la Mutua Cesare Pozzo, con 147.000 soci e circa 250.000 assistiti sul territorio nazionale. Seguono altre realtà, come la bolognese Campa che conta 42.000 soci, e via via una serie di associazioni più piccole, ma che continuano ad attrarre iscritti: per il 2017 si prevede un incremento della base associativa del 5,5%, verso la soglia dei 600.000 soci.

Lo spazio di crescita, dunque, c’è: anche perché le Soms, rispetto alle forme assicurative, sono enti senza scopo di lucro e si basano su principi di democrazia interna, partecipazione e reciproca solidarietà, oltre a garantire prestazioni a costi inferiori rispetto al privato. In Europa il comparto delle mutue è in grande crescita nel panorama del mercato assicurativo. Nel Vecchio continente, stando ai dati di Icmif (la Federazione internazionale per l’assicurazione cooperativa e mutualistica) le realtà del settore possono contare su oltre 400 miliardi di euro di premi raccolti e 2,8 miliardi di attivi. A livello globale le mutue coprono il 27% del mercato assicurativo, con premi per 1.300 miliardi di dollari, asset per 8.300 miliardi e quasi un miliardo (995 milioni) di soci assicurati. Tuttavia, anche dal confronto fra i singoli Paesi europei emerge un panorama molto eterogeneo. La diffusione delle mutue dipende infatti molto da come è organizzato lo Stato sociale in ciascuna nazione. In Paesi come Germania, Austria, Svezia, Belgio e Paesi Bassi l’adesione alle mutue è obbligatoria (è attraverso di loro che viene gestito il sistema sanitario nazionale), mentre in Francia, Lussemburgo e Danimarca le mutue sono «complementari», cioè integrano la copertura garantita dallo Stato. Oltralpe il settore delle mutue vale 18 miliardi di euro ed è scelto da 38 milioni di cittadini su 66, anche attraverso accordi collettivi che permettono di abbassare i prezzi. In Irlanda e nel Regno Unito, infine, le mutue rappresentano delle alternative al regime tradizionale. La quota di mercato del settore mutualistico varia molto di Stato in Stato: si va dall’oltre 60% dell’Austria alle percentuali da prefisso di Irlanda e Cipro. L’Italia si colloca poco sopra il 20%. Anche su questo aspetto, dunque, l’Europa è tutto meno che unita e la crescita del settore mutualistico è legata all’impegno dei singoli Stati: in questo modo milioni di persone restano tagliate fuori da un sistema che, secondo i dati riferiti a Valori dall’eurodeputata Patrizia Toia, è in grado di offrire servizi sociali e sanitari a 400 milioni di cittadini europei. Tre anni fa un gruppo di eurodeputati ha chiesto alla Commissione Ue di attivarsi per varare un regolamento che agevolasse la creazione di soggetti mutualistici sovranazionali. Il dossier giace però nei cassetti, a causa principalmente dell’ostracismo della Germania, Paese in cui i gruppi mutualistici sono cresciuti in dimensioni e, secondo alcuni osservatori, hanno perso per strada i valori originari del mondo cooperativo. Un esempio è quello di Debeka, mutua che conta quasi 7 milioni di assicurati,16.500 dipendenti e 9,8 miliardi di fatturato. Veri colossi – tra gli altri ci sono anche Signal, Iduna, Continentale, Barmenia – che Berlino, secondo i detrattori, vuole preservare dalla concorrenza delle mutue europee.

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