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Tumore alla prostata: i progressi della ricerca e delle terapie

Ogni anno nel nostro Paese vengono diagnosticati circa 36 mila nuovi casi di tumore alla prostata. L’ultima novità in fatto di terapie viene dall’Unità operativa di urologia dell’Irccs Inrca – Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico per Anziani – di Ancona, che per prima in Italia si è dotata di una apparecchiatura di ultima generazione “Focal One”,  con ultrasuoni focalizzati ad alta intensità. E anche la ricerca sta facendo passi avanti.

Ogni anno nel nostro Paese vengono diagnosticati circa 36 mila nuovi casi di tumore alla prostata, per un totale di 9 mila vittime, che rappresentano l’8% dei decessi per tumore. Nell’uomo questo cancro rappresenta circa il 20% di tutte le neoplasie ed è la seconda causa di decesso, dopo quella polmonare, sopra i 50 anni. Colpisce soprattutto gli over 65, ma l’età media dei soggetti si sta abbassando.
La prostata è una ghiandola presente solo negli uomini, posizionata di fronte al retto e che produce una parte del liquido seminale rilasciato durante l’eiaculazione. Normalmente, è grande come una noce, ma andando avanti con gli anni o a causa di alcune patologie può ingrossarsi fino a dare disturbi soprattutto di tipo urinario. Il tumore della prostata ha origine proprio dalle cellule presenti all’interno della ghiandola che cominciano a crescere in maniera incontrollata.
Quasi tutti i tumori prostatici diagnosticati, infatti, hanno origine dalle cellule della ghiandola e sono chiamati adenocarcinomi (come tutti i tumori che hanno origine dalle cellule di una ghiandola). Ci possono essere anche sarcomi, carcinomi a piccole cellule e carcinomi a cellule di transizione. Sono comuni anche le patologie benigne, soprattutto tra gli uomini over 50.
Quando la massa tumorale cresce, dà origine a sintomi urinari: difficoltà a urinare o bisogno di urinare spesso, dolore , sangue nelle urine o nello sperma, sensazione di non riuscire a urinare in modo completo. I sintomi sono evidenti solo nelle fasi più avanzate della malattia e possono indicare anche problemi diversi dal tumore. Per questo, la diagnosi deve essere eseguita da un medico specialista, dopo accurati esami e valutazioni.
Il tumore alla prostata si può trattare in diversi modi, ognuno presenta benefici ed effetti collaterali specifici. L’ultima novità viene dall’Unità operativa di urologia dell’Irccs Inrca – Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico per Anziani – di Ancona, che per prima in Italia si è dotata di una apparecchiatura di ultima generazione “Focal One”. L’apparecchiatura include una sonda robotizzata per il trattamento localizzato del cancro alla prostata con tecnologia Hifu (High Intensive Focused Ultrasound), a ultrasuoni ad alta intensità. La macchina è stata acquistata con il contributo del Ministero della Salute, Regione Marche e Fondazione Cariverona; si può trasportare facilmente, rendendo così la metodica attuabile in tutti i centri ospedalieri delle Marche.

È da diverso tempo che gli ultrasuoni vengono impiegati con successo nella cura dei tumori, in alternativa alla chirurgia e alla radioterapia. L’apparecchio provoca un aumento di temperatura nell’area fino alla neutralizzazione delle cellule malate. Ha un sofisticato sistema di puntamento, che permette di colpire solamente la sede del tumore (terapia focale), risparmiando le cellule sane. È dotata di un software specifico per la fusione in tempo reale delle immagini dell’ecografia 3D, rilevate dalla sonda ad una frequenza esclusiva di 7.5 MHz, con quelle della Risonanza magnetica multiparametrica.
Queste ultime possono essere presenti negli archivi elettronici dell’ospedale o importate tramite supporto mobile, come una pen drive. Il trattamento è quindi preciso e poco invasivo: la sonda robotica opera minuscole incisioni cilindriche, del diametro di 1.7 mm e lunghe 5, le più piccole consentite dalla tecnologia attuale. Permette inoltre di pianificare direttamente dal monitor le aree su cui intervenire. I tempi di degenza sono molto brevi, dalle 24 alle 72 ore. I risultati sono incoraggianti: ad oggi, più dell’85% dei pazienti sottoposti a questo trattamento, non presenta una ripresa della malattia e solo il 10% deve essere rioperato.
Anche per quanto riguarda la ricerca si stanno facendo passi avanti. Secondo uno degli ultimi studi su questa neoplasia, l’origine potrebbe essere riconducibile a un gene. Lo hanno scoperto i ricercatori dell’Istituto di ricerca di Londra, che hanno dimostrato che il 12% di tutti gli uomini con questa forma di tumore allo stadio avanzato ha una mutazione ereditaria nei geni coinvolti nella riparazione dei danni al Dna.
Lo studio è stato pubblicato sul New England Journal of Medicine, ed è stato condotto su un campione di 692 uomini con cancro alla prostata con metastasi. Si è concentrato su 20 geni, noti per avere un ruolo nella riparazione del Dna. È emerso che il 12% del campione aveva almeno una mutazione ereditaria in uno di questi geni; le mutazioni sono state individuate in 16 geni: la più frequente (5%) e’ risultata essere quella al gene Brca2, che nelle donne aumenta il rischio di cancro al seno (il cosiddetto gene Jolie), seguita dalle mutazioni al gene Atm (1,6%), Chek2 (1,9%), Braca1 (0.9%), Rad51d (0,4%) e Palb2 (0,4%).
Si pensa inoltre che questo gene mutato possa influire sul rischio anche degli altri familiari del malato, e che sia opportuno sottoporli al test sulle mutazioni del Brca2. Secondo i ricercatori, fare questo test genetico sugli uomini potrebbe  aiutare a identificare meglio il cancro alla prostata e portare a diagnosi e interventi precoci, e quindi migliori terapie.
 

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