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L’Italia ha bisogno di infermieri: il modello Cina risponde alla pandemia

La pandemia ha provocato uno scossone al sistema sanitario mondiale e la Cina concretizza questo cambio di marcia annunciando un’implementazione dell’organico a partire dal 2025 tra le schiere degli infermieri. Stando al nuovo piano rilasciato dalla Commissione Sanitaria Nazionale, entro tre anni ci sarà una media di 3,8 infermieri registrati per ogni 1.000 persone. Alla fine del 2020, il numero di infermieri registrati in Cina era di oltre 4,7 milioni, con un aumento del 45% rispetto al 2015. Oltre il 70% ha un diploma di junior college o un titolo di studio più elevato. Nel documento inoltre si precisa che il potenziamento dell’assistenza infermieristica è finalizzato a migliorare la salute delle persone e a rispondere attivamente all’invecchiamento della popolazione. Chiaramente si tratta di una decisione intrapresa a seguito dei due anni di emergenza sanitaria che hanno messo a dura prova le strutture ospedaliere di molti paesi del mondo, tra cui l’Italia che ad oggi conta un numero di medici decisamente superiore a quello del personale infermieristico.

In Italia infatti il Sistema Sanitario conta 600 medici ogni 100 mila abitanti. I medici appartenenti alla Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo) sono circa 370 mila, di cui un terzo lavora negli istituti pubblici. Sempre secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), la competizione tra medici nel settore pubblico è molto alta e spesso i più giovani devono attendere a lungo prima di riuscire a stabilizzarsi. Si tratta di un fenomeno venutosi a radicare tra gli anni Settanta e gli anni Novanta, quando il numero degli studenti di medicina è aumentato notevolmente: solo nel 1980, 17 mila studenti iscritti. Dagli anni Novanta, il numero chiuso alle università ha portato a una riduzione del numero di iscritti, che nel 2021 ha registrato il 26% dei posti in meno rispetto a quelli definiti dalla Conferenza Stato-Regioni. Ad ogni modo, nonostante questo dato, la categoria degli operatori sanitari registra un incremento di 1.417 unità rispetto al 2020.

E se in principio l’accordo faceva riferimento a 23.719 posti per gli infermieri, il Ministero ha deciso di definirne 17.394 (più 264 per infermieristica pediatrica). Numeri che, lo scorso anno, la Federazione nazionale ordini professioni infermieristiche (Fnopi) ha commentato con poca convinzione: “Eppure l’accordo Stato-Regioni parlava chiaro nelle sue motivazioni relative all’innalzamento della richiesta –sottolineando la necessità di specifiche competenze particolarmente richieste nella gestione dell’emergenza pandemica ancora in atto, alla luce dell’adozione di nuove e diverse misure organizzative volte a garantire le future necessità assistenziali, avuto particolare riguardo all’assistenza territoriale ed alla presa in carico della persona, tenuto conto dello sviluppo delle patologie correlate e conseguenti alla malattia da Covid-19 e del ruolo sempre più essenziale delle attività di prevenzione”.

Cosa accadrà dunque nei prossimi anni: l’Italia seguirà il modello Cina? La pandemia da Covid-19 ha evidenziato gli aspetti critici del Servizio sanitario nazionale. Sul fronte del personale, le maggiori difficoltà segnalate sono: il permanere per un lungo periodo di vincoli alla dinamica della spesa per personale e le carenze, soprattutto in riferimento ad alcuni ambiti, di personale specialistico. Come messo in rilievo, a seguito del blocco del turnover nelle Regioni in piano di rientro e delle misure di contenimento delle assunzioni adottate anche in altre Regioni (con il vincolo alla spesa), negli ultimi dieci anni il personale a tempo indeterminato del SSN è fortemente diminuito. Al 31 dicembre 2018 era inferiore a quello del 2012 per circa 25.000 lavoratori (circa 41.400 rispetto al 2008). Tra il 2012 e il 2017, il personale (sanitario, tecnico, professionale e amministrativo) dipendente a tempo indeterminato in servizio presso le Asl, le Aziende Ospedaliere, quelle universitarie e gli IRCCS pubblici è passato da 653 mila a 626 mila con una flessione di poco meno di 27 mila unità (-4 per cento). Nello stesso periodo il ricorso a personale flessibile in crescita di 11.500 unità ha compensato questo calo solo in parte. Per far fronte all’emergenza sono state adottate procedure straordinarie di reclutamento del personale per il potenziamento, in particolare, delle reti di assistenza territoriale e dei reparti ospedalieri di virologia e pneumologia. Strategia che ha consentito al Servizio sanitario di contrastare la crisi epidemiologica in atto nelle regioni più colpite fino al termine dello stato di emergenza. Del domani, dunque, non v’è certezza.

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