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Bronchiolite, anticorpo monoclonale dimezza i ricoveri di bambini sotto i sei mesi

Una singola somministrazione dell’anticorpo nirsevimab ai neonati può ridurre in modo significativo i ricoveri per bronchiolite, malattia che può causare insufficienza respiratoria nei bambini con età inferiore a un anno. È quanto emerso da uno studio che ha coinvolto l’Università Cattolica del Sacro Cuore e la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, con il coordinamento di Universitat Politècnica de Catalunya (UPC), Catalonia, Children’s Emergency Department, Leicester Royal Infirmary e University of Edinburgh, il primo ad analizzare una casistica ‘real world’.

La ricerca, coordinata dal dottor Danilo Buonsenso, ricercatore in Pediatria generale e specialistica alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica e pediatra presso l’Unità Operativa di Malattie Infettive Pediatriche della Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS, è stata resa nota attraverso le pagine della rivista ‘Lancet Regional Health – Europe’.

La bronchiolite è un’infezione virale acuta che colpisce il sistema respiratorio dei bambini di età inferiore ad un anno soprattutto nei primi 6 mesi di vita con maggiore frequenza tra novembre e marzo. Il microrganismo infettivo più coinvolto, in 3 casi su 4 circa, è il virus respiratorio sinciziale (VRS) ma anche altri virus possono esserne la causa, metapneumovirus, coronavirus, rinovirus, adenovirus, virus influenzali e parainfluenzali. L’infezione è conseguenza di una trasmissione che avviene primariamente per contatto diretto con le secrezioni infette.

Dai dati, raccolti da 68 ospedali catalani e da cinque ospedali nel Regno Unito e in Italia, emerge un risultato chiaro: nei bambini sotto i 6 mesi in Catalogna, i ricoveri per bronchiolite si sono quasi dimezzati rispetto alla media delle stagioni precedenti. Anche gli accessi in pronto soccorso per la stessa fascia d’età si sono ridotti sensibilmente. Al contrario, nessuna riduzione significativa è stata registrata negli altri centri europei dove il nirsevimab non era stato somministrato.

Come si legge sul sito dell’Università Cattolica, l’effetto del farmaco è stato meno evidente nei bambini più grandi (tra 6 e 23 mesi), suggerendo che l’efficacia maggiore si concentra nei primi mesi di vita. Gli autori sottolineano inoltre la necessità di studi più ampi e coordinati a livello internazionale, anche per valutare la sostenibilità economica dell’introduzione del nirsevimab su larga scala. Lo studio rappresenta un passo importante per valutare l’efficacia reale di nuove strategie preventive contro l’RSV, mettendo a confronto per la prima volta Paesi con approcci diversi alla sua implementazione.

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